Affresco datato 1797 su una casa di Rivera. Sono visibili i fori dei proiettili. L’affresco è stato restaurato nel 2006, pertanto la testimonianza della guerra è ora solo fotografica.
SCAPPATE CHE ARRIVANO!
Era in corso un rastrellamento, i tedeschi facevano un rastrellamento. Scendevano da Ogaggia. Noi eravamo scappati, io e tutta la squadra dei giovani di Viganella; siamo scappati e ci siamo rifugiati alla Beula. Pioveva, c’era nebbia… in una schiarita vedo mio padre a Faiel che stava salendo (verso di noi). Mi dico:
“Qui c’è qualcosa di storto… (se viene su…)”
Infatti appena arriva (ci dice):
“Scappate che stanno scendendo da (Ogaggia)!”
Stavano proprio scendendo da (Ogaggia). Per poco ci prendevano tutti lassù. Poi i tedeschi sono andati a Caval, quando hanno bruciato la casa di Gianni.
Noi siamo scappati, siamo scesi alla Ca ’d Filipeta, ci siamo diretti verso il fondovalle, siamo arrivati a Piazzana e siamo arrivati tra i pini che ci sono sopra Viganella. Dopo un po’ mio fratello è sceso: “Vado io a vedere se si può tornare in paese”. E’ sceso, ci ha fato il segnale (convenuto) e siamo andati a nasconderci sul solaio di casa mia. Mia mamma ci passava su il cibo; saremo stati là una giornata.
AL MURO, COL MITRA SPIANATO
In tempo di guerra eravamo su a Caval con le bestie io, Annetta, le figlie di Lidia, Luisa e Maria, Elena figlia di zia Delfina e Mario. Era un giorno che pioveva, il tempo era brutto. Abbiamo pranzato, io e la mia sorellina, e poi l’ho messa a dormire. Dopo un po’ mi dico:
“Vado a trovare Annetta che è a casa da sola”.
Vado da lei, abbiamo chiacchierato un po’ e poi sento come un fruscio in alto; dico:
“Annetta, si sente qualcosa, che cosa può essere? Non saranno mica i tedeschi… quel partigiano che è sceso tra i faggi ci aveva detto di stare attente che giravano quei…”
Esco, vedo gente che viene pian pianino con un elmetto e sopra foglie di faggio. Allora dico: “Vieni a vedere”.
E’ uscita anche lei; con un salto sono arrivati alle case. Ci hanno prese e ci hanno messe al muro, sul sentiero che passa dietro la casa dei Ragozza; eravamo io, Anna e Mario di zia Delfina, sceso ad avvisarci che stavano girando i tedeschi. Ci hanno tenuti lì un bel pezzo con il mitra spianato e volevano sapere dove erano i partigiani. Io dico che di partigiani lì non ce n’erano, che non ne avevamo mai visti. Per un po’ (ci hanno tenuti lì) e poi ci hanno lasciato perdere. Però sono andati a girare nelle case. Poi hanno parlato tra di loro e ci hanno lasciati andare, ci hanno lasciati liberi.
Però, mentre stavano parlando, abbiamo visto un gran fumo sulla Piana (di Caval); penso: “Che cosa succede? Che cosa fanno? Brucia la casa di Gianni o la casa delle figlie di Lidia?” Stava bruciando la casa di Gianni, avevano appiccato il fuoco. Poi volevano sapere dov’era il sentiero per tornare a casa, per andare sulla carrozzabile. Noi non abbiamo indicato il sentiero che scende da Cheggio, ma quello che scende da Schieranco, perché sapevamo che al Campasc c’erano i partigiani. Se ne sono andati e due ragazze, Luisa ed Elena, sono scese ad avvisare i partigiani. Arrivate al Campasc (hanno visto i partigiani) che dormivano nella stalla; la sentinella era più a valle, alla Cappella del Mundù.
Quella sera avevamo paura a dormire ognuno a casa nostra; allora si dormiva sui sacconi di foglie di faggio; abbiamo preso il nostro saccone, l’abbiamo portato a casa di Giuseppe (il marito di Annetta); abbiamo dormito tutte lì e abbiamo aspettato ad uscire, che fossero tornate le due ragazze che erano scese; avevamo paura.
Verso le otto sono arrivate su le due ragazze, Luisa ed Elena, a svegliarci… veramente eravamo già sveglie, ma avevamo paura ad uscire dalla baita!
“Potete star tranquille, ragazze; i tedeschi se ne sono andati. Però i partigiani vogliono venire su a bere un po’ di latte”. Dopo un’oretta sono arrivati anche i partigiani; siamo andate a mungere le nostre mucche, abbiamo dato loro il secchio con il latte… e via, tutto era finito.
PANE E LETAME
Due o tre volte alla settimana mia mamma mi metteva nel gerlo il sacco del pane, prendeva il letame delle capre, quello ben secco, lo metteva sopra il sacco del pane e mi mandava al Lavoröt a portarlo ai partigiani; lo mettevo dove hanno poi ucciso quel… adesso non ricordo più come si chiamava…
Andavo al Lavaröt… non c’era ancora la strada che scende dalla piazza; scendevo dalla scala qui vicino e mi inoltravo per la provinciale. Al Crop incontravo sovente i tedeschi e i fascisti che venivano a Rivera. Conoscevo un graduato dei tedeschi che mi legava il fazzoletto qui sotto il mento e mi diceva sempre:
“Dove vai? Dove andare bambina?”
Ed io:
“A concimare i prati”.
E invece portavo il pane ai partigiani! Quando ritornavo mi davano dei quadretti di marmellata, i tedeschi, e scatolette di tonno. Non facevo in tempo ad arrivare a casa che avevo già mangiato tutto. E mia mamma mi diceva:
“Ma… caspita! Non mangiarle tutte in una volta! Mangiane un po’ anche dopo pranzo quando fai merenda”.
“Mi piacciono e allora le ho mangiate”.
GUARDAVA SUO FIGLIO MORTO
ATTRAVERSO IL VETRO
Ricordo che un giorno i tedeschi scendevano lungo la valle in bicicletta; avevo sentito che avevano rubato… be’, rubato, requisito le biciclette. I partigiani erano appostati sul roccione che dal Lavaröt domina la strada sottostante. Ma hanno commesso l’errore di sparare subito ai primi. Gli altri, passando dalla Mundà, li hanno presi alle spalle; ne hanno preso uno e lo hanno ucciso.
C’è un particolare che ho ben presente. Quel ragazzo doveva essere un milanese, non era di queste parti. Anche noi bambini siamo andati al cimitero; era nella cassa e si vedeva il volto attraverso un vetro; i suoi, venuti a prendere il cadavere, non avrebbero più potuto aprirla. Ricordo ancora suo papà che appoggiato alla cassa guardava suo figlio attraverso quel vetro…
MAMMA ASSUNTA
Quando è morta mia mamma sono venuti loro, i partigiani, a portarla al cimitero.
“A MAMMA ASSUNTA”, ho la dedica (1). Quest’anno, quando hanno fatto la festa all’alpe Cavallo, Barbis mi ha mandato una lettera: volevano fare un omaggio anche a “Mamma Assunta”. Noi non abbiamo voluto… Lei ha fatto quello che si sentiva di fare. Io conservo la pergamena con la dedica. Le hanno dato una medaglia d’oro. Al museo della resistenza a Villadossola, vicino alla chiesa parrocchiale di Cristo Risorto, ci sono il vestito e il grembiule di mia mamma. Continuano a dirmi: “Vieni a vedere!”. Ma ormai non vado più a vedere. No, mi fa troppa impressione.
Era qui a casa mia quando è morta, mia mamma. A casa loro non potevo più lasciarli i miei genitori. Hanno fatto venire il carro funebre i partigiani, l’hanno portata loro, con un mazzo di rose grande così. L’hanno portata i partigiani in chiesa. Sono entrati in chiesa con i loro fazzoletti rossi. Il parroco non ha avuto niente in contrario. L’hanno portata al cimitero, l’hanno messa loro nella tomba.
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1) Per espressa volontà della mamma, è la figlia Ave a custodire questo importante riconoscimento, perché è stata sempre lei ad aiutarla.
… QUESTI POVERI LITUANI!
(per i luoghi si veda l'episodio "Almuro col mitra spianato")
Ricordo tanti episodi della guerra perché avevo già dodici, tredici anni. Ricordo che una volta a Cheggio erano arrivati i tedeschi. A Cheggio c’erano parecchi giovani che avrebbero dovuto essere in guerra e si nascondevano sul solaio della chiesa. Siccome la chiesa era isolata, ci voleva una scala per salire, non si poteva passare dai tetti come qui a Rivera. Allora le donne portavano una scala, i giovani salivano, poi subito si ritirava la scala in modo che i tedeschi non si accorgessero di niente. Ricordo che c’erano Enrico, Pietro, Gino, Filino… erano parecchi.
Sono arrivati dunque i tedeschi e hanno trovato solo Pierino, un sordomuto che non andava a nascondersi come gli altri. Gli hanno detto di accompagnarli in Albèr; sapevano che là c’erano i partigiani, anzi, era la loro sede. Lui ovviamente non capiva, ma non gli hanno creduto, pensavano facesse il finto tonto. Pierino probabilmente ha capito la parola “Alber” e si è avviato per far strada.
Arrivati poco sopra il Campasc, da dove si intravedono i primi prati di Alber, il partigiano di sentinella ha sparato un colpo per dare l’allarme. I tedeschi si sono gettati subito a terra e Pierino, che non aveva sentito il colpo, a vedere quella scena si è messo a ridere, senza capire cosa stesse succedendo. Allora i tedeschi l’hanno gettato a terra ed hanno capito che era veramente sordomuto. Sono saliti ed hanno ucciso quella sentinella, che tra l’altro era un lituano, uno di quelli arrivati qualche sera prima.
I partigiani sono scappati tutti, sono rimasti solo questi poveri lituani ed uno è rimasto ucciso.
Ricordo che sotto la camera dove dormivo io c’era un locale per le foglie da strame. Erano andati là a dormire, quei poveretti. Erano arrivati la sera tardi e la mattina di buon’ora sono partiti, accompagnati da qualcuno per andare in Alber e unirsi ai nostri.
Quando i tedeschi sono arrivati su in Alber nella baita della Mata ’d Mariana, una bella baita, hanno trovato cibo e molto formaggio. Nessuno si aspettava che arrivassero. Hanno preso tutto quel ben di Dio e lo hanno gettato nel vallone che c’è lì vicino. A vedere tutti quei formaggi che rotolavano giù, Pierino ha chiesto di dargliene almeno un po’. E infatti gliene hanno dato. Almeno è tornato a casa con un po’ di formaggio…
SCAPEI CH’I RIVAN! (Bernardino)
U gh era ’n rastrelament, u gh era ’n gir a fa ’n rastrelament, i tedesk a favan in rastrelament. I gnivan ji dau Ganja. Nui a seran scapei, mi e tita la squadra di giuinot ch’u gh era qui ’n Viganela, sema scapei e sema neč a rifugias a la Beula.
Fin quand u piuveva… pena l’è gni fo ’n colp ad ciar, ch’u gh era la nebia, į ho vist ul me pa jindà a Faiel ch’u gniva. A dig:
"Qui u gh è quaicoša ch’u va mia ben”.
Difati l’è rivù sindà:
“Scapei! parché i rivan ji da…”
I rivavan ji da… a momenti in ciapan tit sindà là… Dopo in neč in Caval, ch’į han pö brišù la ca ’d Caval, la ca di Gianni.
A sema scapei, a sema gni jindà a la Ca ’d Filipeta, sema pasei fo, sema neč in Piazzana, sema gni ji, sema gni qui int al pesc surent a Viganela. Da là ’n mument ul me frel l’è gni ji… “Ades a vaghi ji mi a vega s’us po na int ul pais o no”. L’è pö gni ji u n ha fač ul segnal ch’a pudevan gni ji; sem pö neč a scundas si si u spazzacà. La mi mama la n dava pö si da mangià da lì; sarema stač si na jurnà si là sura, u n dava si da mangià, lì.
AL MIR, CUN UL MITRA PUNTU' (Maria)
U temp ad guera a seran si da Caval cun al vac, a seran mi e ’Neta, pö u gh era al matàn ad Lidia, Luisa e Maria e Lena ’d lama Delfina e Mario. E l’era ’n dì ch’u piueva, in dì che l’era brüt u temp. Į ema dišnù, mi e la mi surela e pö a l’ho mesa a durmì. Quand l’è bi ’n po’ a dig:
“A vag indà truųà ’Neta, l’è ’ndà da là da par lei”.
A vag indà, į ema ciciarù ’n granin, e pö senti me ’n frušìo a na si; a dig:
“O ’Neta varda ch’u s sent in quaicoša a dig, que ch’u sarà pö qui; u sarà pö i tuìsk che cul om ul partigiano ch’l’è nač ji int i faìsc l’ha dič ch’u gh era da sta atent ch’u gh era in gir sta…”
A vaghi ’d fo, a veg si da là ch’i van a giup a giup, cun si ’n almetto e tit al coš si par la testa, al föi ’d faìsc. E ’ndura a g dig: “O di! vegn vega!”.
L’è gnicia fo anca lei a vega; į han fač ma ’n saut a rivà ji ’nt al ca. Int al ca i n han ciapù i n han mes al mür, lì in la veia ch’l’è lì da dre da ca ’d qui da Ragozza, mi e lei e Mario ’d lama Dalfina parqué cul lì l’era gnič par gni višàn ch’u gh era ’n gir quisti qui. I n han be tegnič in bel po’ lì cun stu mitra spianù ch’i ulevan savé dainò ch’u gh era i partigiani. Dig “Ma! di partigiani qui u g n è migna, nui n’a g n ema mai vist migna”. ’Nsomma tro ’n po’ į han be… e pus į han lasù perda. Però in neč a girà ’nt al ca. Pö į han parlù int tra da lur e pö i n han lasù na, i n han lasù liber e via.
Però quand į eran lì ch’i parlavan in tra da lur, į ema vist in gran fim si si la Piana; a dig “Ma e ades, que ch’i fan lì? L’è la ca ’d Gianni o l’è la ca ainò ch’u gh è al matàn ad Lidia?” Invece l’era la ca ’d Gianni, i g han dač ient ul föc. Dopo į ulevan savé dainò ch’u gh era la stra, la veia par na a ca, par na ji si u stradon. E ’ndura nui a n gh ema mi’ mustrù da Cheč, į ema mustrù da Sčeranc, parqué da Cheč a sevan che ji al Campasc u gh era dvent i partigiani. Lur in neč via e do matàn in nač a višà i partigiani, al Campasc; l’era Luisa ’d Lidia e Lena ’d lama Dalfina. Quand in rivei al Campasc į eran tit là in la casina ch’i durmivan i partigiani, e la santinela l’era jindà a la Capela dul Mundù.
Quela seria lì che i n han mes al mür, pus a durmì ognadin a ca nosta a gh evan puria, e ndura ’n bot u s durmiva int al bisac ad föi ’d faìsc e ’ndura ognadin į ema toč si la nosta bisaca, l’ema purtà sindà a ca d’Isapin, e į ema durmì tit lì e į ema spiciù ch’u fis rivù si au do fiol ch’į eran nač ji par pudé pasà ’d fo parqué a gh evan puria.
Quand l’è bi vers vot ur in rivà si ’l matàn, Lena e Luisa ’d Lidia, a… sčugnan! a seran sarà si nui, a seran be sčugnà, però, chi ch’u pasava ’d fo! a gh evan puria.
“U pi sta be tranquii, matàn, che ades in neč in fo, in pasà fo i tedesk. Però u gh è i partigiani ch’i von gni ’n sì; ch’i von gni ’n si, ch’i von gni beva u lač”.
Quand l’è bi da lì in’ureta in rivei anca i partigiani; sema neč a munja u nos vac, a gh ema dač inai (1) la sidela dul lač… e via, l’è stacia finìa asuì.
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1) Rohlfs attesta innanzi e innanti come varianti di davanti (Grammatica storica, cit., Sintassi e formazione delle parole, p. 221). Nel dialetto di Viganella si trova, anche se raramente usato, l’avverbio inài. Generalmente assume la funzione di componente verbale in unione con il verbo dare. L’espressione assume il significato di dare a.
PAN E LAMP (Ave)
Dui dì a la šmana, o tri… la m fava si la sciųéra cun ul sac dul pan, e la m tirava fo ul lamp dal crau, moma migna, e pö sota la mateva ’l pan, cun in sac, e sura mateva ul lamp dal crau, cul ch’l’era sič, e la m mandava al Lavaröt a purtagul; dainò ch’l’è pö ch’į han pö fia mazzù cul… ’des que ch’u s ciamava a m argordi pi.
A nava al Lavaröt… da qui u gh era mi’ ’ncù la veia, la m fava pasà ji da la scala qui, e a nava ient pa u stradon; lì si ’l Crop, a ’ncuntrava semper i tedesk e i fascisti ch’i gnivan fo; ben mi a gh eva ’n cap di tedesk ch’u m grupava ul panet qui, e u m geva semper:
“Dove vai? Dove andare bambina?”
E mi:
“Concimare i prati”.
A gh eva sot ul pan di partigiani; a nava al Lavaröt. Me ch’a turnava ’ndré i m davan di quadrit ad marmelà, i tedesk, e ad scatulet ad ton cusì. A fava gnanca ’n temp a rivà si ca ch’i a gh eva ja mangià tit. E moma migna la m geva:
“Ma… damoni! ai mangei (1) migna tit a paria! Mangian in po’ anca pusmešdì, t fei merenda!”
“Oh! mi m piašan, a į ho mangià.”
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1) Rohlfs attesta che nell’Italia settentrionale è molto diffuso l’uso del voi usato senza un particolare valore di forma di cortesia e di rispetto, ma in generale nei rapporti fra persone di pari grado o anche nei confronti di persone di grado inferiore o con gente sconosciuta (Grammatica storica, cit, Morfologia, p. 181). Tale uso era ancora particolarmente diffuso nel dialetto di Viganella fino a pochi decenni fa.
U VARDAVA JI UL SO MAT DAL VEDAR
(Gemma)
M argordi quand… che i gnivan in fo i tuìsk, tit in bicicleta, m argordi ch’i gevan ch’į eran neč a rubà al biciclet… rubà, i s ai favan da, l’è migna ch’ai rubasan, i s favan da al biciclet e in gni fo tit in bicicleta. E i partigiani į eran si al Lavaröt, si pau sas dal Lavaröt ch’i i spiciavan, però invece da tacà… da tacai a circa metà, į han da ve sparù zübit ai prim tant che į èut, ch’į eran da dre, da la Mundà in paséi sindà da sura, i gh in rivei ados sindà da sura, che in l’è pö restù mazzù.
Cul lì a m argordi, in episodio ch’a m argordi. L’eva da esa o ’n milanes, l’era migna da qui, da nui. A m argorda ch’a seran ueter, a sema neč fo au scimiteri inca nui, e l’era ’n la casa; si la casa i gh evan fač meta ’l vedar perché vérul pus i pevan verul pi quand in gni i söi a tol; e m argordi semper che u gh era ul sö pa ch’u vardava ji au sö mat, u vardava ji dal vedar…
MAMMA ASSUNTA (Ave)
Però l’è morta moma migna e in gnič lur a purtala au scimiteri.
“A MAMMA ASSUNTA”: a g ho ’l quadar; ades ch’l’è gnič ch’į han fač la festa ’d Caval, u m a mandù una letra Barbis, ch’i ulevan ch’i fasan in omaggio anche a “Mamma Assunta”. Nui n’ema mi’ vįì… l’a fač cul la s santiva da fa. Però a g ho ’l quadar, i g han dač la medaia d’oro. E al museo lì ad la resistenza a Vila, visin a la geša ’d Cristo Risorto u g è la patela e ’l scusal ad moma migna… che mi… continuam a dim: “Vegn fo vega!” Ades vaghi pi a vega. No; u m fa tröp senso.
L’era ji qui a ca migna quand l’è morta moma migna, che si là a peva lasai pi. Į han fač gni ’l carro funebre lur, i l’han purtà lur, i partigiani, cun in maz ad ros asuì. L’han portata i partigiani, in chiesa; in neč anca lur in la geša, i gh evan si ul sö fularin ros, i g han dič cun ul preu s’i pon intrà, u g ha dič da sì, e l’han purtà lur au scimiteri; i l’han mesa lur in la tomba.
… STI BIA’ LITUANI (Gemma)
Mi m argordi anca tanci episodi lì ’d guera perché insoma a gh eva pö des, dodas, tredas, agn, sera pö … e m argordi ch’į eran rivei a Cheč… perché a Cheč u gh era tenci jüan che į ésan bi da esa ’n guera e ’nvece į eran lì, i s navan a scundas si par ul spazzacà dla geša, ma dato che la geša l’era ji in mez ai canvai da par lei, l’era mia ’n mez al ca, me ch’u fis bi qui a Rivera l’era ’n mez al ca, e ’nvece… e ’ntant ch’u g nava la scala a na si, ’ndura al féman i navan pö a purtag la scala, lur i navan pö si e pö turna purtà via la scala perché i pevan pö mia lasàs vega che i tuisk as la pensavan pö migna ch’į eran si par ul spazzacà dla geša, e invece i navan si da là perché į eran incù ’nzaquenci, u gh era Rico e Pietro, u gh era Gino, Filin, ’m argorda ch’į eran be inzaquenci ch’i navan pö scundas si par ul spazzacà dla geša.
E in rivei sindà i tuisk e i n’han truųà incin ’d oman perché i s eran scüs qui ch’į eran jüan, e į han truųù ma Pierino, l’era ’n sordomuto. E i g han dič, į han fač capì da mustrag la veia par na an Albèr perché i sevan che ’n Albèr u gh era i partigiani, i gh evan la so sede lì sti partigiani. E li u capiva migna, ma lur į han mi’ credì che li u capiva migna; u dis “quest u fa u tonto!”. E i g han dič da na ’vanti, da na ’vanti e da cumpagnai in Albèr. Dato ch’u capiva i paroi, sol che i paroi di tuisk senz’altro u i capiva migna, però “in Albèr” l’ha capì, e l’è nač ul prim, u g ha mustrù la veia da na ’n Albèr.
Quand in bi lì sura ’l Campàsc, ul partigiano ch’l’era ’d stafeta l’ha sparù ’n colp a dà ul segnal ch’u gniva sti tuisk, i tuisk me ch’į han santì i s in bitei tit a bas me n’arià e Pierino u s è mes a ghignà, a ghignà, perché u capiva migna que ch’i favan che li l’era surd; quand į han bi vist asuì l’han be tirù ji, l’han fač slungà fo a bas inca li; e pö in pasei sindà che l’è pö figna restù mazzù in lituano.
Che ìndura u gh era i lituani ch’į eran rivei quanzaché seri prima; i partigiani in scapei tit e in restù pi ma sti bià lituani che pö in l’è pö restù mazzù me ch’a dighi. Che m argorda che dainò ch’a durmiva mi, na stanza, sota u gh era na casina dal föi, e in neč ient da là durmì, sti bià oman, che pö la matin quand l’era ’ncu noč, perché in rivei la seria ’d noč, e la matin quand l’era ’ncù noč in pö lvei si e in pö neč; i g aràn pö bi ’lghin ch’u i cumpagnava, asuì n’ul so migna, m argordi pö migna, in alvei si bun’ura ch’l’era noč e in pö pasei sindà che in pö neč in Alber ch’i navan pö par cumbata ’nzema i nöst, sti lituani.
Quand in rivei lì ’n la ca ’dla Mata ’d Mariana là ’n Albèr, l’era na bela cašela, i gh evan tit u da mangià, i gh evan tit cos, perché i s la speciavan migna ch’i rivasan perché į eran incù mai gnič ient par la val, į han ciapù tita la roba e i l’han bità via, i l’han bità ji pal cröt, la nava a vota ji pal cröt; e Pierino u g ha dič da dàgan in pö a lii, ad furmač, u gh era al form dal furmač, da dag in po’ ’d furmač. E infatti i g han dač… cul che pus… e li l’è pö gni ca ch’u gh eva pö almeno ’n toc ad furmač.
Anche su questa cappella sono visibili i fori dei proiettili.
I partigiani erano dietro la Cappella, una posizione dominante la carrozzabile su cui transitavano i tedeschi in fuga quando si è formata la Repubblica dell'Ossola.
Terminata la guerra è stata eretta una cappella sull'alpe CAVAL, con l'immagine di una Madonna salvatasi dall'incendio di cui si parla nell'episodio.
Sui due quadri appesi ai lati sono scritti i nomi dei partigiani della valle morti.
Ogni anno la prima domenica di agosto si sale all'alpeggio, si celebra la Messa e vengono letti i nomi riportati nei due quadri.
E' l' "autani" di CAVAL
La cappella oggi