La ”caminà”: qui si è cucinato per tempo immemorabile, estate ed inverno, polenta per il pranzo, minestra per la cena

Lessico:

si riportano alcune delle 721 voci. I termini con asterisco nella tesi sono illustrati da fotografia.

a l'ari usato nell’espressione na caval a l’ari, fare un capitombolo, andare gambe all’aria.
aftai rami con fogliame seccato, destinati all’alimentazione delle capre durante l’inverno.
agar (pl. ègar) acero.
agar acido. Nell’economia pastorale il termine è riferito soprattutto al latte: ul lač l’era int ul canvin perché se no u gniva agar.
aladìŋ  tronco senza nodi che si spacca facilmente. Da it. ‘latino’ con significato di "chiaro", "semplice" e quindi "liscio".
àlbi  truogolo del maiale.
algò  da nessuna parte. A l’ho mi’ vist dalgò, non l’ho visto da nessuna parte.
aliévo  (pl. alievi) pianta da lasciare quando si taglia un bosco: u nava dasà į alievi, qui ch’i purtavan la šment. 
amnàgia *  recipiente di metallo da portare a spalla con cui si trasportavano liquidi (acqua o latte).
amnéstra  minestra; il piatto usuale di mezzogiorno era la polenta; quello della sera la minestra. Di solito se ne avanzava un po’ per la colazione del mattino; solo nelle feste si faceva colazione con il caffelatte; us mangiava pulenta e amnestra tit i dì .
ànda  pezza di tela (p. 13/13).
andöga  in questo posto (p. 12/11).
anél  (pl. anéi) orecchino. L’unico anello che le donne portavano al dito era quello matrimoniale, la vera.
àrbul  (pl. èrbul) castagno, l’albero per antonomasia.
arià  l’insieme dei covoni di segale messi a terra per essere battuti. Is in bitei tit a bas me n’arià, si son gettati a terra come covoni di segale che si battono.
arųéna  (pl. arųéi) 1: commissione, favore: fam in’aruena.       2: Lavori di casa: aruei ad ca.
arvìna  frana. Verbo arvinàa, franare. Il diminutivo Arvinéla è divenuto il toponimo di un luogo poco sopra Rivera.
arvìsč  morbillo.
arvöria  bosco di querce. Dal latino (silva) roborea < rovoria < rvoria < arvöria
àscia  matassa di lana o di filo.
barél  balla di fieno legata con una corda detta suga; appesa con una carrucola o un gancio al filo a sbalzo scendeva dagli alpeggi al paese. Uno degli oggetti simbolo della cultura agricolo-pastorale di Viganella.
bàuga  altalena; baugàs (riflessivo) andare in altalena.
baulìna  bosco di betulle; per Viganella il bosco che si estende dall’Albarina alla Piana.
bià  tapino, poveretto; sempre seguito dalla persona cui si riferisce: bià om, pover’uomo;  bià Iacam, povero Giacomo; Stu bià več rabiù me ’n cop (p. 15/29); sti bià lituani (p. 15/34).
bisaca  saccone pieno di foglie di faggio; era il materasso su cui si dormiva sugli alpeggi (p. 06/16).
brénta recipiente di legno alto e stretto con cui si portava l’uva della vendemmia; veniva usato anche per travasare il vino.
brìnsciul  ginepro. Era usanza bruciare legno di ginepro la notte di Natale.
brot  castagne secche bollite. Si vedano in particolare i racconti sul trasporto del letame (p. 08/8).
bušinàa  raccontare filastrocche, cantilene. Per l’etimologia e il particolare significato del termine per i collegamenti tra Ossola e milanese si veda p. 03/18.
cànva  (pl. canau) cantina; nella società agricolo-pastorale di Viganella ogni casa aveva la sua cantina, indispensabile per la conservazione degli alimenti.
caréč  (pl. carìč) troia o troclea (1); legno con due fori che serviva, attaccato alla suga (corda), a stringere i barei (balle di fieno).
càrga  carico; la carga per antonomasia è il carico di legna mandato con i fili a sbalzo: carga ’d legna. Espressioni: ara ch’a t an daghi na carga! attento che ti riempio di botte; a g n ho na carga! (detto di un malessere); che carga!, che peso! (detto anche di una persona pesante da sopportare)
cas  lutto.
cavič * chiodo di legno per sostenere au tempiar sui canter del tetto (dal latino tardo "clabicola", classico "clavicula")
chìša  scoiattolo.
chisc  tempesta di neve, bufera, vento freddo invernale.
crònja  cullare il bambino nella culla.
culàna  catena che si metteva al collo degli animali per legarli alla mangiatoia.
cumpagn  serve per fare un paragone: l’era cumpagn me druà la carta: era come adoperare la carta (p. 09/19); la Murtafeta l’era cumpagn me di…: la Murtafeta era come dire…(p. 11/20); métam int in pericul cumpagn: mettermi in un tale pericolo (p. 15/26)
dàša  ramo di pino; accr. dašòŋ.
dèrja preparare il fieno nella mangiatoia.
dörbi  corteccia di betulla secca e arrotolata. Serviva sugli alpeggi per avviare il fuoco (p. 09/18).
dròvis  ontanello. E’ l’arbusto che cresce più in alto, oltre i pini e i larici. Fondamentale nell’economia della transumanza; tagliato in autunno, forniva nell’estate seguente la legna per gli alpeggi di alta montagna, sia come fonte di riscaldamento, sia per la produzione del formaggio.
fìšica  magia (p. 11/9; p. 11/14).
fnél  apertura sul pavimento del fienile per far cadere il fieno nella mangiatoia della stalla sottostante (p. 10/9).
gamsél gomitolo
giùa *  molla di legno per prendere i ricci delle castagne.
in šbròva  sull’orlo di un salto pericoloso. Lì magari na in sbrova, at sautivi ji pa la val, magari lì, andare sull’orlo, precipitavi nel vallone (p. 11/21).
lancìstra  (pl. lancistar) sottile striscia di nocciolo con cui si costruivano gerli e vari attrezzi; tra questi un piano su cui si metteva un tovagliolo mantiŋ per versarvi la polenta (p. 07/35; p. 11/14).
lavènsc *  paiolo per la polenta; dim. lavjìŋ. Un tempo di pietra ollare (l’etimologia riporta infatti a "laveggio") il termine è rimasto anche quando furono introdotti i paioli di bronzo. Meno usato è il termine ul brunz per indicare il paiolo della polenta. La brunza è il sonaglio delle mucche.
ònja *  fieno che si ammucchia a strisce quando si falcia.
plàndra  (cfr. it. "palandrana") abito talare del sacerdote.
prašèu *  mangiatoia.
quàzza  treccia.
réųal  forte resa sul lavoro; l’è na sghezza da reual è una falce che permette di lavorare bene. U g ha reual cul om, quell’uomo rende sul lavoro.
scià  qui; l’avverbio è molto usato in espressioni particolari: scià qui!, vieni (venite) qui; scià ch’a u diga, devo dirti una cosa; scià ’d vent, entra, entrate.
sciarscél
  (lat. "sarculum") zappino per l’orto.
sciòlta  turno in fabbrica. Dal tedesco schalten, cambiare. Il termine è passato alle maestranze venete che l’hanno portato nei cantieri della galleria del Sempione ad inizio secolo . I turni erano tre: dalle 6 alle 14; dalle 14 alle 20; dalle 20 alle 6. (O. Lurati, Lombardia, in Lexicon, cit., p. 503)
sciųéra * gerlo per trasporto di oggetti piccoli, anche di bambini, cibarie. Dal latino "cibaria".
sfùnja  (cfr. lat. "axungia") sugna, grasso per ungere. Usata per esempio sui fili a sbalzo che hanno poca pendenza per far scorrere i ganci di legno.
šghézza *  falce per tagliare il fieno; la lama poteva essere ripiegata sul manico (smaŋgà) per il trasporto; aperta era pronta per il taglio (inmaŋgà).
sòšna  (pl. sostan) muro a secco che forma i terrazzamenti (p. 06/2). Il plurale si forma da un originario (cfr. latino "sustinere") sòstna > sòstn > sòstan
turn *  grosso tronco di legno con 4 fori per tendere i fili a sbalzo.
ųàmp  (pl. ųaip o ųeip) guanto.


"amnagia" per il trasporto di acqua o latte

il "barel", scende appeso al filo con una carrucola

"brenta", per trasporto dell'uva e del vino
1) careč: desumo i nomi italiani da Atlante linguistico ed etnografico del Piemonte occidentale a cura di T. Telmon e S. Canobbio, Torino, Regione Piemonte, 1985.
Lo studio esamina i nomi che sono stati dati alla troclea nell’arco alpino; non vi si trova però, accanto a tanti altri, il termine "careč", pur avendolo localizzato a Varzo e ad Antrona.

"turn"
cavič

"sghezza inmangà" e "sghezza smangà"

Piano  di "lancistar" per versarvi la polenta.
lettura
lessico dialettale. Dialetto di Viganella, valle Antrona, Ossola, (VB)