VINAVIL: vinilico a Villadossola. Degrado e abbandono indicano la fine dell’industrializzazione nell’Ossola.

La fabbrica : testimonianze

TRASPORTO DEL FERRO


     Mia nonna racontava (mia nonna è nata nel 1875) che all’età di 17-18 anni, trasportava il minerale di ferro dalla valle del Bijer che si trova sotto il passo di Ogaggia, dove vi erano le miniere di ferro, fino a Porta dove c’erano i forni che lo fondevano.
      Un giorno faceva due viaggi e il giorno dopo tre. Travustava, cioè prendeva un carico e lo portava magari fino all’alpeggio di Caval; tornava indietro, prendeva un secondo viaggio e scendeva magari fino a Fontana Cisa; travustà, significa portare avanti un carico, poi tornare indietro a prendere l’altro fino ad arrivare alla meta, cioè a casa.
      Il compenso erano 30 centesimi per ogni viaggio, cioè per ogni carico che arrivava a Porta prendeva 30 centesimi. Era la vita di allora: dura, ma era così.
… … … …
     Zia Angelina mi diceva che una volta portavano il minerale grezzo a Villadossola con il gerlo. E la sera prima lo portavano fino a Scarpi per fare meno fatica il giorno dopo quando dovevano scendere a Villa.

UNA DONNA SOLA SULL’ALPEGGIO


     C’erano i minatori che andavano nella valle di Asarioli dove c’era la miniera di ferro. Passavano dalla Gurbegia e dagli altri alpeggi dove c’era gente. Alla Gurbegia c’era una giovane donna da sola. I minatori hanno gridato , ha gridato anche lei per rispondere e poi è andata a dormire. Dopo un po’ li ha sentiti che dicevano:
     “Era qui quella ragazza che ci ha risposto…”
     E la cercavano. Hanno aperto la porta, ma nel frattempo lei è scesa dalla botola del fieno che dava sulla mangiatoia ed è uscita dalla stalla. E’ corsa su alla Gura (dove c’era gente) da sola, anche se era notte perché era pratica (del sentiero).
     I minatori l’hanno cercata, ma non l’hanno trovata e se ne sono andati. In quanto a lei non so poi che fine ha fatto.

LAVORARE  IN  FABBRICA
     Era duro lavorare in fabbrica! Partire al mattino alle quattro e mezza per arrivare a Villa alle sei; se arrivavi in ritardo c’era anche la multa, non ti pagavano mezz’ora di lavoro. E poi si lavorava sul serio, non per finta.
     D’inverno era veramente brutto. Addormentarsi la sera che era nuvolo e al mattino alzarsi e trovare quaranta centimetri di neve… perché allora nevicava, non faceva solo finta. E allora la bicicletta… non giravano neppure più le ruote della bicicletta, bisognava andare a piedi.
     Perché allora si andava in bicicletta, con la pioggia, con il bel tempo o con la neve, quando si poteva andare, se no si andava a piedi. Un anno siamo andati a piedi per un mese, non ricordo se nel ’64 o ’65; la strada era bloccata; per un mese a piedi, avanti e indietro.
     Il tempo non era neppure più calcolato perché arrivavi a casa stanco. Uscivi già stanco dal lavoro, facevi qualche sosta nelle osterie, le chiamavamo “cappelle”, a Cresti, a Seppiana, così arrivavi a casa alle quattro, quattro e mezza del pomeriggio (1). Se facevi dalle 2 alle 10, prima delle undici e mezza non eri mai a casa.
     Tante volte lasciavi la bicicletta a Cresti (2), quando scendevi a Villadossola, per non doverla spingere in salita al ritorno. Si faceva prima a salire a piedi che con la bicicletta perché è tutta salita e dovevi spingerla la bicicletta. O al massimo arrivavi alla Noga (3) perché uscito dal lavoro arrivavi più in fretta alla Noga attraverso le scorciatoie su per la Serpagnana.
     Si lavorava otto ore, non si scappava. Per un minuto di ritardo ho preso un’ora di  multa, per un minuto che ho smesso di lavorare; vuol dire che non ti pagano un’ora. Non potevi sederti un momento; potevano passare la guardia, il capo reparto, l’ingegnere; ti multavano.
     A casa c’era tutto il resto; perché dopo dovevi fare il fieno o vangare o seguire i lavori della vigna o far legna, c’era sempre qualcosa da fare; la giornata di lavoro non era finita. Ce n’era da fare!
     Tante volte arrivavi a casa alle undici, dovevi prendere lo zaino con un po’ di pane, un po’ di vino e un po’ di cibo e andare fino alla Gura (4), dormire quelle tre o quattro ore e alzarsi la mattina per falciare il fieno. Poi scendere di nuovo, prendere la bicicletta e andare a Villa: una vitaccia!
     Oppure, alla fine di agosto… no, non di agosto, la fine di luglio, quando andavano alla locia (5), andavano fino a Scingino alla locia… Dovevi partire per portare corde e carrucole per i barei dopo le otto ore in fabbrica. Da qui al Col ci vogliono tre ore, carichi; ma allora eri allenato, andavi; non c’era tanto da fermarsi. E le ferie… dovevi sempre tagliare legna, portarla a casa, tutta con i fili, avanti e indietro, poi segarla, e allora non c’era la motosega, la si tagliava tutta a mano, con la sega a mano.
     “Edoardo m’ha detto che talvolta qualcuno si bruciava apposta per poter andare… è vero?”
     Per poter stare a casa… far fieno o legna o qualcosa… Prendevano un pezzo di ferro bello caldo… vrommmm! una bella bruciatura sul braccio; uscivi e andavi dal dottore; ti dava otto o dieci giorni. E si andava a far quei lavori a casa. Se andavi in malattia era facile che venisse il dottore per il controllo; invece con l’infortunio non veniva. Sembra grossa, eppure si faceva.
     Più tardi hanno messo un camion; allora è diventata più leggera la faccenda, anche se capitava che dovevi stare in piedi fino a Viganella… Era una gara a chi arrivava primo a sedersi perché c’erano due panche, una di qui e una di là, e lì si cercava di essere il primo a sedersi; gli altri stavano in piedi perché era sempre pieno così…anche nella cabina, fino a cinque con l’autista che a mala pena si muoveva… Sul camion eravamo una quarantina, ma non c’era più la fatica della bicicletta, la fatica di pedalare o di camminare.
     Una volta il camion è uscito di strada a Cresti, la sera alle cinque e mezza; la colpa è stata dell’autista. Nessuno si è fatto male, un po’ ammaccati, ma niente di grave, per fortuna! Se andava avanti dieci metri andava giù nella forra. E’ uscito appena dopo Cresti, dove c’è il bivio per Montescheno; per fortuna  sotto la strada c’è un piccolo pianoro prima del burrone e si è fermato lì.
     In ultimo si andava in corriera, anzi ce n’erano due. E quello era un altro viaggiare.
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1) Si usciva alle 2 dalla fabbrica.
2) Da Villadossola a Cresti la strada è tutta in forte salita;     da Cresti a Viganella, si trovano anche tratti pianeggianti.     Cresti è a circa metà strada.
3) Un paio di chilometri sopra Villadossola.
4) Alpeggio a circa un’ora e mezza di cammino da Viganella.
5) Sul significato di locia vedi “SUGLI ALPEGGI – La locia” p.     06/20.

PURTA’   LA MINERA   (Italo)


    Mi… u m chintava sü la me nona… la mi nona l’è nasüa dul mila votcent setanta cinc, che quand l’agh eva derset, dasdot agn,  la nava a viagià minera da dent in val dul Bijer ch’l’as trova sot au Ganja, ch’u gh era al miner dul fer, e la purtava a Porta ainò ch’u gh era i furn da funda. In dì la fava dui vieč e ‘n dì tri. La travustava: la nava to ul prim viač, la l purtava magari fin a Caval; la turnava ‘ndré, la nava to ‘l secund viač, la l purtava magari fin a Funtana Cisa. Cioè travustà u uo di purtà avanti un caric, e pö na ‘ndré a to l’aut fin a rivà a la meta, cioè a ca.
     E la ciapava trenta centesim al viač, cioè ogni caric ch’u rivava ji a Porta ‘nò ch’u gh era i furn, la ciapava trenta centesim.L’era la vita d’andura, düra, ma l’era cusì.

                                             (Daniele)
     Lama ’Ngelin la m geva che in bot i purtavan la minera fo a Vila cun la sciųéra. E la séria drai i la purtavan fo ’n toc, tro Scarpi, par fa meno fatiga a la matin quand ch’i gh evan pö da na fo a Vila carghei.

NA  FÉMNA SULECA  SI  PA Į  ELP
(Antonietta)

     U gh era i minör ch’i navan si ’n la val du Jarioi ch’u gh era la minera dul fer. I pasavan da la Gurbegia, pasavan si pa į èlp dainò ch’u gh era la jent. E a la Gurbegia u gh era na juwna da par lei. I minör į han aršunù, l’ha aršunù ’nca lei, la g ha dač arposta. L’è nacia durmì; l’ha santì che i gevan:
     ”Qui u gh era… l’era qui quela là ch’l’aršunava”.
     E aulevan scercala. Į han vert la porta e lei l’è pasà ji dal fnel; l’è nacia ji ’n la prašeu dal vac e l’è pasà fo da la casina. L’è pasà si a na a la Gura, si da par lei, si par la veia anca s’l’era ’d noč parché la seva la pradga . E l’è nacia a la Gura. E i minör i l’han scercà  ma n’ l’han mi’ truųà; in pö turna neč. E lei n’ so mi’ pö che fin l’ha fàč.


LAURA’  ’N  FABBRICA   (Bernardino)
     Eh l’era düra laurà ’n fabrica! Partì la matin a quater e mezza par rivà a Vila a seš ur, e s’at rivivi ’n ritard u gh era incù anca la mülta; i t tiravan via la mezz’ura e pö u nava laurà! Migna ma fa finta.

     Che l’invern, l’invern l’era pö brüta; na durmì la seria ch’l’era nìual e  a la matin tat levat sü, tat truavat  quaranta ghei ad neu, perché ’ndura u fiucava, u fava mia ma finta; e lì la bicicleta, i giravan gnanca pi i rod, e alura a pe.

     Perché ’ndura u s nava in bicicleta, piova o bel temp o fioca, quand ch’u s peva na, se no u s nava a pe. In an į ema fač in mes, a m argordi pì se dul sesantaquater o sesantascinc; l’era stač blucà la stra; in mes a pe, avanti e ’ndré.

      Ul tempo l’era gnanca pi calculà, perché ta rivavat si stanc, ta gnivat fo stanc dau laùr, ta rivavat fin… ina quai capela (1), in Crest, na capela ’n Sepiana, tant ta rivavat a ca a quatr ur, quater e mez, al pusmešdì. S’at fašivi dai do ai des, prima dai vündas e mezza t siri mai a ca.

     Tat piantavat la bicicleta in Crest quand at nasivi in fo, par migna purtala si quand ta gnivi in ent. U s fava pisé prest a gni a pe che cun la bicicleta, perché l’è tita salita, e t ivi da puntala la bicicleta. O al masim ta rivavat a la Nuga, perché quand ta pasavat fo dau laurà t fivi pisé prest a rivà a la Nuga per qui scürtaröi a pasà sì tita la serpagnana.
     U s laurava vot ur, s’u scapava migna; par in minüt į ho ciapù in’ura ’d mülta mi, per in minüt ch’a į ho piantù lì da laurà; u ųo dì che in’ura ta la pagan migna. Setàt ji in mument ta pivi migna, perché s’u pasava la guardia, o ’l cap repart specialment o l’ingegner, at fregava.

      A ca u gh era tit ul rest, a ca; perché dopo t ivi da fa fei o t ivi da cavà, o t ivi da fa la vigna, semper quaicoša; la jurnà l’era mi’ finìa, o che t agh ìvi da na dre legna, secund la stagion me ch’l’era. Oh u g n era be da fa!
      Tenci bot, ta rivavat a ca a indaš ur ad seria, in bicicleta, to sì ul sac in spala cun in po’ ’d pan e ’n po’ ’d beva e da mangià e na fin a la Gura, durmì quei tri o quatr ur e alvà sì la matin a šga; pö turna pasà ji, ciapà la bicicleta, pasà fo: ina vitascia!
     Opurament quand l’era la fin d’avost, nè d’avost, la fin ad lii, quand i navan a la locia, a navan sindà da Sciangin a purtàg si ’l cord e chišel par fa sì i barei, dopo i vot ur in fabrica. Da qui al Col u g va tre ur, carghei, perché ’ndura t agh ivi l’alenament, ta navat; u gh era mia tant da fermas. E al feri… t agh ìvi sempre da na dre la legna, fa gni ca la legna, purtala a ca,  andura tit pai fii, avanti e ’ndré, pöi rašgala sì, andura u gh era migna la motosega, l’era tit a man, cun la rešga, a man.
     “Edoardo mi ha detto che qualcuno si bruciava appositamente per poter andare… è vero?”
     Par pse sta a ca; sta a ca per fa i laür a ca; šga, o fa legna o quaicoša… Ciapavan in toc ad fer bel e caud, vrommm! na bela arsigà  sil brasc na brišada lì, ta pasavat fo e ta navat dal dutur; u dava vot, des dì. E u s nava a fa qui laurit a ca, perché s’at navat in malatia, l’era facil ch’i gnivan a scercàt, u gniva ul dutur par ul control; invece cun l’infortunio, u gniva migna ul control. La šmeia grosa, epure l’as faševa.
      Pö l’è rivù ul camion, indura l’è ja gnìa pisei langera la facenda, anca s’at capitava che ta rivavat lì t ivi da sta in pei tro Viganela. L’era na gara chi ch’u rivava prima a setas jü, perché u gh era do baic, ina da qui ina da là, l’era semper piei cušì… anca sì in cabina, magara cinc o ses a ciapà ’l post ient a la cabina inzema a l’autista, pena pena ch’u g la fava a movas… Sul camion a seran na quarantina. Però u gh era pi la fatiga ad la bicicleta, da pedalà o da na a pe.

      E na bota ul camion l’è pasù fo lì in Crest, la seria ai cinc e mezza; l’è bi colpa ad l’autista. Incin u s è fač propi mal, amachei sì ’n po’, ma niente di grave, per furtina! S’u nava avanti des meter u nava ji int ul valon. Pena pasà Cresti, ainò ch’u gh è la stra ch’la va a Muntaschei, lì sota l’è sautù fo, e lì in fund cumbinazion u gh è in pian, pö dopo u gh è ul saut, e s è fermù lì.      Dopo l’è pö gni la curiera, u g n era pö do. Ma l’era pö in aut viagià lì.
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1) Nel gergo ”fare una cappella” significa fermarsi in qualche     osteria.

Nel luogo della ex-Ceretti sorge un centro culturale denominato "La Fabbrica". Si tengono conferenze, concerti, incontri, esposizioni.
L'industrializzazione dell’Ossola nel settore siderurgico parte dalle miniere di ferro del monte Ogaggia nel territorio di Viganella

La Montedison, che con la SISMA e la Ceretti ha costituito il polo industriale dell'Ossola per parecchi decenni del secolo scorso. A fine 2007 le sei torri cilindriche in primo piano sono state demolite.
Aršunàa non è semplicemente gridare, ma modulare con la voce brevi frasi cui si attende una risposta.
Il latino possedeva un praesepes femminile e un praesepe maschile da cui si sono originati il presepe dell’italiano e la presef del lombardo settentrionale, del ticinese e del trentino (Grammatica storica, cit., Fonetica, p. 69). Nel dialetto di Viganella si trova l’esito dal latino femminile nel suo significato originario (PRAESEPES > la prašeu = la mangiatoia).
La seconda persona singolare del verbo può assumere parecchi forme:
t rivivi - at rivivi - tat rivivi
ta rivavat - at rivavat - tat rivavat
  voce originale
    voce originale
i luoghi
i luoghi