Generazioni di donne nella frazione di Cheggio

La donna:   introduzione

     “In bot al féman į eran propi cunscià mal, mal, mal. Veramente, perché cargà ’d ueter, i gh evan piei ad besti e i vivevan me…” (1). In questa testimonianza Candida lascia la sua frase in sospeso, ma si può ben intuire ciò che vuole dire.
     E’ lo stesso concetto che in modo più dotto e articolato esprime Raul Merzario nel suo contributo alla rivista “L’Alpe”, con l’articolo “Bestie a due gambe. Le donne nelle valli insubriche” (2) .
     L’autore prende in esame quest’ampia regione di cui fa parte anche la valle Antrona. E’ uno spazio ritenuto abbastanza omogeneo sia dal punto di vista culturale che per le attività economiche che vi si praticano. Le caratterizza un’economia di sussistenza, l’allevamento, il fenomeno migratorio di tipo stagionale o periodico, la presenza di attività protoindustriali.
     Sul piano sociale esiste una divisione sessuale del lavoro: gli uomini emigrano o si spostano per svolgere un lavoro remunerato, le donne restano legate alle loro terre e devono sostenere tutti i lavori più faticosi. Merzario cita studiosi che già nella seconda metà del ’700 si erano occupati della vita della donna in queste regioni, in particolare la poetessa danese Friederich Brun che in un suo viaggio nella Svizzera Italiana nel 1795 descrive ogni età della vita femminile come segnata da una tale fatica che altera progressivamente i corpi e ci mostra “una lunga fila di quelle bestie da soma femmine e bipedi” (3). E’ una definizione molto simile a quella che 40 anni più tardi darà un funzionario cantonale “bestie a due gambe” e che dà il titolo all’articolo del Merzario.
     Una delle funzioni cui la donna è tenuta è il trasporto. Un altro viaggiatore della fine del ’700 cui si fa cenno nell’articolo, il Bonstetten, annota che alla costruzione di muri di terrazzamento provvedono gli uomini “con la terra portata dalle donne” (4). Come non pensare a quanto dice Maria Anna nel suo racconto “Portar terra”.
     Il Bonstetten ricorda inoltre che in Valsassina e nel lecchese le donne trasportano il ferro dal monte al lago in gerli da 44 chili. E’ lo stesso lavoro che la nonna di Italo svolgeva quando era ancora ragazza. Dalle miniere di Ogaggia fino ai forni di Porta, due viaggi un giorno, tre il successivo, circa tre ore di cammino per viaggio con il gerlo colmo di minerale grezzo.
Sul tema del trasporto le testimonianze sono numerose.     
      Facendo due viaggi in una giornata a portar corde ai boscaioli che lavorano al Cursel, ogni viaggio tre ore abbondanti di ripido cammino, Caterina, giovane di 16, 17 anni guadagna quelle sei lire con le quali suo padre le compra il suo primo paio di scarpe.
      I racconti continuano sullo stesso tema: portar fieno, portar legna, portar letame.
(segue...)
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1) “Una volta le donne erano conciate proprio male, male, male. Veramente, perché cariche di bambini, dovevano badare alle bestie,     vivevano come…”. Si veda in questa sezione “laur dal féman”, pp. 133-134.
2) R. Merzario, Bestie a due gambe. Le donne nella valli Insubriche, in “L’Alpe. Donne di montagna”, Ivrea, Priuli & Verlucca, editori, n° 4, giugno     2001, pp. 20-23.
3) Ivi, p. 22.
4) Ivi, p. 23.